Che Ruolo Interpreti?
Uscire dal tunnel degli automatismi relazionali
RELAZIONE DI COPPIARELAZIONI AFFETTIVE
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C'è un momento, nelle relazioni, in cui smettiamo di essere e cominciamo a recitare.
Non ce ne accorgiamo subito. Succede gradualmente, quasi impercettibilmente. Un giorno ci svegliamo e ci rendiamo conto che stiamo seguendo un copione scritto chissà quando, chissà da chi. Che le nostre reazioni sono prevedibili, i nostri comportamenti automatici, le nostre parole già dette mille volte.
Siamo diventati personaggi. E abbiamo dimenticato di essere persone.
I ruoli che indossiamo
Tutti interpretiamo ruoli.
Il partner premuroso che anticipa ogni bisogno. L'amante perfetto/a che sa sempre cosa dire e cosa fare. La fidanzata comprensiva che perdona sempre, che accoglie sempre, che non fa mai pesare niente. Il ragazzo forte che non mostra debolezza. La persona spiritosa che deve sempre alleggerire l'atmosfera.
Questi ruoli nascono spesso spontaneamente. All'inizio di una relazione, vogliamo mostrare il meglio di noi. Vogliamo essere desiderabili, interessanti, amabili. E così enfatizziamo certe parti di noi, mettiamo in ombra altre. Diventiamo la versione di noi stessi che pensiamo l'altro voglia.
Il problema non è questo. Il problema è quando questi ruoli, da espressione autentica di chi siamo in quel momento, diventano gabbie dorate in cui ci rinchiudiamo.
Gabbie che all'inizio sembrano confortevoli, persino necessarie. Che ci danno un'identità chiara, un posto definito nella relazione. Ma che col tempo si restringono, ci soffocano, ci impediscono di muoverci, di crescere, di essere altro.
I bisogni nascosti dell'ego
Perché lo facciamo? Perché rinunciamo alla nostra complessità per interpretare un ruolo semplificato?
L'ego cerca sempre di soddisfare un bisogno: ottenere amore, sentirsi speciale, avere controllo, ricevere attenzioni, evitare il rifiuto, confermare il proprio valore.
È così che crea i suoi personaggi. Maschere funzionali progettate per ottenere ciò di cui pensiamo di aver bisogno. Se crediamo di aver bisogno di essere amati, diventiamo il partner perfetto. Se crediamo di aver bisogno di essere desiderati, diventiamo l'amante irresistibile. Se crediamo di aver bisogno di pace, diventiamo la persona che non crea mai conflitti.
E in un certo senso funziona. Otteniamo quello che cercavamo – o almeno una versione di esso. Veniamo amati, desiderati, apprezzati. Ma c'è un prezzo nascosto.
Il problema? Diventiamo inconsapevoli di recitare.
La maschera aderisce così bene al volto che dimentichiamo di averla. Crediamo di essere quel ruolo invece di interpretarlo. Ci identifichiamo completamente con il personaggio, convinti che quello sia chi siamo davvero.
E così, quando qualcuno ci ama, non siamo mai sicuri: ama me o il personaggio che ho creato? Quando qualcuno ci desidera, c'è sempre un dubbio: desidera chi sono o chi fingo di essere?
Gli automatismi che ci tradiscono
Ripeti sempre le stesse dinamiche. Reagisci sempre allo stesso modo.
Il partner dice X e tu automaticamente fai Y. Ogni volta. Senza pensarci. Senza scegliere davvero.
Un copione imparato a memoria.
Lui fa quella faccia e tu già sai cosa succederà dopo. Lei dice quella frase e tu già senti montare la tua risposta abituale. La situazione si ripete, identica, come se qualcuno premesse play su una registrazione.
Litigate sempre per le stesse cose. Usate sempre le stesse parole. Finite sempre nello stesso vicolo cieco. Perché nessuno dei due sta davvero vivendo il momento – state entrambi recitando scene già viste.
Gli automatismi sono traditori silenziosi. Ci fanno credere di star agendo liberamente mentre in realtà stiamo solo seguendo schemi neurologici consolidati. Ci fanno credere di star rispondendo alla situazione presente mentre in realtà stiamo reagendo a situazioni passate, a paure vecchie, a copioni scritti anni fa.
E la cosa più inquietante? Ci sentiamo giustificati. "Ma ha fatto quella cosa di nuovo!" – sì, e tu hai reagito allo stesso modo di sempre. Due attori che recitano la stessa scena, convinti che sia realtà.
La prigionia della coerenza
"Ma tu sei sempre stato così!"
Quella frase che congela la tua possibilità di cambiare, di evolvere, di mostrare parti nuove di te. Come se dovessi rimanere fermo per sempre, fedele a una versione di te stesso che forse non ti appartiene nemmeno più.
La coerenza è una delle prigioni più sottili che costruiamo – per noi stessi e per gli altri.
C'è un patto implicito nelle relazioni: "Io mi aspetto che tu sia sempre in questo modo, e tu ti aspetti che io sia sempre in quest'altro." Quando uno dei due devia dal copione, anche solo un po', l'altro reagisce con sorpresa, confusione, persino risentimento.
"Non ti riconosco più" – detto come un'accusa, come se cambiare fosse un tradimento. Come se l'amore fosse un contratto che vincola le parti a rimanere immutate, statue di marmo invece di organismi vivi che crescono e si trasformano.
E così restiamo incastrati. Non per amore, ma per coerenza. Non perché sia chi siamo davvero, ma perché è chi abbiamo sempre mostrato di essere. Perché cambiare significherebbe ammettere che forse non eravamo così autentici come pensavamo. Significherebbe destabilizzare l'altro, rinegoziare la relazione, affrontare l'incertezza.
Più facile rimanere nel personaggio. Più sicuro. Più prevedibile.
Ma infinitamente più soffocante.
Il tradimento di sé
"Non è da me." "Non è quello che si aspetta." "Io sono quello/a che..."
Questo è tradire te stesso. Sacrificare il vero te per essere coerente al personaggio che hai creato e interpretato.
Quante volte hai trattenuto una parola perché "non è da te" dirla? Quante volte hai soffocato un desiderio perché non si allineava con il ruolo che hai sempre interpretato? Quante volte hai fatto qualcosa che non volevi fare, o non hai fatto qualcosa che desideravi, solo per rimanere fedele all'immagine di te che hai costruito?
Forse sei sempre stato quello comprensivo, e ora non puoi permetterti di essere arrabbiato. Forse sei sempre stata quella forte, e ora non puoi permetterti di crollare. Forse sei sempre stato quello razionale, e ora non puoi permetterti di essere emotivo.
Il personaggio ha preso il controllo. E tu, la persona vera dietro la maschera, stai soffocando.
Ma non sei sul palco. Questa è la tua vita.
Non c'è un pubblico da accontentare, non c'è una recensione da ottenere. Non devi vincere premi per la miglior interpretazione. Devi solo vivere. Autenticamente. Pienamente. Anche quando è confuso, anche quando è contraddittorio, anche quando non si allinea con chi hai sempre detto di essere.
Perché tradire te stesso per rimanere coerente a un'immagine è il prezzo più alto che puoi pagare. È vendere la tua anima per mantenere una reputazione. È sacrificare la verità per preservare una finzione.
Il momento della rottura
Un respiro sospensivo.
Fermati. Proprio ora, mentre stai leggendo. Respira.
Guardati da fuori mentre reciti il tuo solito ruolo. Osserva come ti muovi nelle tue relazioni. Nota i momenti in cui senti quella leggera sensazione di artificialità, quella sottile dissonanza tra ciò che fai e ciò che senti.
Quella sensazione di artificialità? È la tua autenticità che bussa alla porta.
È la parte vera di te che sta cercando di emergere, che non si rassegna a rimanere nascosta dietro il personaggio. È il tuo sé autentico che protesta, che ti ricorda: "Ehi, io sono ancora qui. Non mi hai dimenticato, vero?"
Ci sono momenti in cui la maschera scivola. Momenti in cui sei così stanco di recitare che cede, e per un attimo appari. Vulnerabile, imperfetto, vero. E in quegli attimi, spesso, accade qualcosa di magico: la connessione diventa reale.
Perché l'altro, dall'altra parte, è stanco anche lui di relazionarsi con un personaggio. Anche lui vuole vedere la persona. Anche lui, probabilmente, sta recitando il suo ruolo e aspetta il permesso di poter essere altro.
Il cammino della consapevolezza
Riconoscere i tuoi schemi è il primo passo per uscirne.
Non per giudicarli, non per condannarli. Semplicemente per vederli. Per renderli visibili. Perché solo ciò che è consapevole può essere scelto.
Quali ruoli interpreti ogni giorno?
Nella tua relazione, con i tuoi amici, con la tua famiglia, al lavoro.
Quando ti senti più falso? Quando senti quella sottile tensione, quella sensazione di star recitando invece che vivendo?
Quando ti senti più vero? Quali sono i momenti, le situazioni, le persone con cui la maschera cade naturalmente e ti permetti di essere semplicemente te stesso?
Quali bisogni stai cercando di soddisfare con questi ruoli? Cosa temi succederebbe se smettessi di interpretarli?
Queste domande non hanno risposte rapide. Richiedono tempo, onestà, coraggio. Richiedono di guardare parti di noi che preferiremmo ignorare. Di ammettere manipolazioni sottili che preferiremmo negare. Di riconoscere paure che preferiremmo non avere.
Ma sono le domande che portano alla libertà.
Riscrivere il copione
Uscire dal tunnel degli automatismi relazionali non significa diventare caotici, imprevedibili, inaffidabili. Non significa abbandonare ogni coerenza o comportarsi in modo completamente casuale.
Significa recuperare la scelta. Significa poter decidere, momento per momento, chi essere. Significa avere accesso all'intera gamma della tua umanità, non solo alle poche note che hai deciso siano "da te".
Significa poter dire: "So che di solito reagisco in questo modo, ma oggi scelgo diversamente." Significa poter mostrare debolezza quando sei sempre stato forte, o forza quando sei sempre stata accogliente. Significa contraddirt ti, confonderti, sorprenderti.
Significa, soprattutto, dare anche all'altro il permesso di fare lo stesso. Di uscire dal suo ruolo. Di essere complesso, mutevole, umano. Di non dover rimanere per sempre fedele alla versione di sé che ha mostrato all'inizio.
Perché le relazioni vere non si basano sulla coerenza dei personaggi, ma sull'autenticità delle persone. Non sulla prevedibilità degli automatismi, ma sulla presenza viva in ogni momento nuovo.
Conclusione: dall'interpretazione all'essere
La domanda "che ruolo interpreti?" non è un'accusa. È un invito.
Un invito a guardarti con onestà. A notare dove hai smesso di essere e hai cominciato a recitare. A riconoscere le maschere che porti – non per vergognartene, ma per scegliere consapevolmente quando indossarle e quando toglierle.
Forse scoprirai che alcuni "ruoli" sono in realtà espressioni autentiche di chi sei. E va bene. Non tutto è maschera. Ma anche le parti vere di te meritano di essere scelte consapevolmente, non interpretate meccanicamente.
Forse scoprirai che hai paura di mostrare certe parti di te perché temi di non essere più amato. E forse è vero – forse qualcuno ti ama per il personaggio, non per la persona. E in quel caso, meglio saperlo. Meglio essere soli che accompagnati da chi ama un fantasma.
Ma forse, più probabilmente, scoprirai che l'altro è sollevato quando smetti di recitare. Perché anche lui vuole smettere. Perché anche lui è stanco. Perché entrambi, sotto le maschere, avete sempre desiderato la stessa cosa: essere visti. Essere amati. Per quello che siete davvero.
E quella, quella è l'unica relazione che vale la pena vivere. Quella dove non c'è palco, non c'è pubblico, non c'è applauso. Solo due persone che hanno avuto il coraggio di togliersi le maschere e di guardarsi negli occhi.
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