Quell'insicurezza è davvero tua?

Come abbiamo imparato a odiarci guardando lo specchio sbagliato

RELAZIONE CON TE

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Da bambini non ci pensavamo.
Guardavamo i volti degli adulti senza notarli davvero: un naso storto era solo un naso, una ruga era solo pelle vissuta. Non c'era la lente deformante dell'estetica a filtrare la percezione. Gli occhi dei bambini vedono persone, non difetti. Vedono espressioni, non imperfezioni. Vedono vita, non misure da correggere.

Poi, da qualche parte tra l'infanzia e l'adolescenza, è successo qualcosa. Abbiamo smesso di vedere i volti e abbiamo iniziato a giudicarli. Prima negli altri, poi – inevitabilmente – su noi stessi.

Lo specchio truccato

Una generazione è cresciuta con uno specchio truccato. Il riflesso che ci rimandava la cultura pop non era il nostro volto, ma un'idea di perfezione fabbricata in laboratorio: modelle dai tratti levigati attraverso ore di photoshop, attori scolpiti come statue greche con personal trainer e chirurghi estetici al seguito, influencer con facce progettate dall'algoritmo di Instagram e dai filtri di bellezza.

Abbiamo creduto che quelle immagini fossero reali. Abbiamo creduto che fossero raggiungibili. Abbiamo creduto che fossero lo standard a cui tutti, naturalmente, dovrebbero aspirare.

Ma il problema non è solo l'esistenza di questi modelli. La perfezione estetica, in fondo, è sempre esistita nell'arte, nella scultura, nell'immaginazione umana. Il problema è che ci hanno convinti che quella fosse l'unica opzione. Che non esistesse bellezza al di fuori di quei parametri. Che tutto il resto fosse, nel migliore dei casi, accettabile – nel peggiore, da nascondere.

Il peso sulle spalle delle donne

Le donne sono state prese di mira con un'intensità devastante.

La femminilità è stata ridotta a una checklist di caratteristiche fisiche: gambe sottili ma non troppo muscolose, pancia piatta ma non troppo magra, seno prosperoso ma naturale (o almeno che sembri tale), pelle liscia senza un poro visibile, labbra piene ma non volgari. Un corpo che non doveva solo essere bello, ma anche appetibile. Desiderabile. Consumabile.

Dietro l'estetica c'era sempre un sottotesto: la bellezza era il biglietto d'ingresso per il desiderio altrui. E senza quel desiderio, cosa rimaneva? Il messaggio implicito era chiaro: se non sei bella secondo questi standard, non hai valore. Non sarai vista, non sarai scelta, non sarai amata.

Gli uomini non sono stati risparmiati, certo. Anche loro hanno dovuto fare i conti con corpi idealizzati, con la pressione di essere alti, muscolosi, virili. Ma la differenza è stata nell'intensità, nella pervasività, nella violenza con cui questo messaggio è stato martellato nella psiche femminile fin dalla più tenera età.

Quando il corpo diventa il nemico

E cosa succede quando cresci in un mondo che ti dice che il tuo valore passa attraverso il tuo aspetto?

Succede che ogni parte del tuo corpo diventa un potenziale problema da correggere. Le cosce sono troppo grosse. Il naso è troppo largo. I denti non sono abbastanza bianchi. La pelle ha troppi pori. I capelli sono troppo sottili. La pancia sporge. Le braccia sono flosce. E potremmo continuare all'infinito.

A forza di essere confrontati con un ideale estetico irraggiungibile, abbiamo interiorizzato l'idea che il nostro corpo fosse sbagliato: non magro abbastanza, non tonico abbastanza, non perfetto abbastanza.

Il problema non è solo il giudizio esterno, ma quello interno. È la voce critica che si è installata nella nostra testa e che ormai parla con voce propria. Non abbiamo più bisogno che qualcuno ci dica che non siamo abbastanza – ce lo diciamo da soli, ogni giorno, davanti allo specchio.

Quella voce sembra nostra. Sembra venire da dentro. Ma è davvero così?

L'insicurezza fabbricata

Ecco la domanda che dovremmo porci più spesso: quell'insicurezza è davvero tua?

O è qualcosa che ti è stato insegnato? Qualcosa che hai assorbito da anni di messaggi pubblicitari, di film, di riviste, di commenti casuali, di sguardi non richiesti? Qualcosa che è stato piantato nella tua mente quando eri troppo giovane per difenderti?

Il modello estetico che oggi ci sembra "giusto" non è altro che una convenzione temporanea, frutto di un'epoca, di una specifica cultura e di un mercato. È un'illusione che ci fanno inseguire e che il mercato continuerà a cambiare, rendendo il traguardo sempre e volutamente irraggiungibile.

Negli anni Novanta le modelle dovevano essere "heroin chic" – pallide, emaciato, fragilissime. Poi sono arrivate le curve, celebrate per un momento prima di essere nuovamente demonizzate. Poi il "fit is the new skinny", con corpi muscolosi e scolpiti. Oggi l'estetica dominante mescola elementi di tutto questo, aggiungendo filtri che modificano la struttura stessa del viso.

E domani? Domani sarà qualcos'altro. Perché il punto non è mai stato aiutarci a sentirci bene. Il punto è sempre stato vendere: prodotti, servizi, procedure, la promessa sempre rinnovata che con il giusto acquisto, finalmente, saremo abbastanza.

Ridefinire la bellezza

La bellezza non è un volto simmetrico, né un corpo levigato. La bellezza non è una checklist da spuntare, non è un filtro da applicare.
La bellezza è espressione.

È il modo in cui il corpo racconta una storia. È una risata improvvisa che trasforma un volto qualunque in qualcosa di luminoso. È uno sguardo che si accende quando si parla di qualcosa che si ama. È una cicatrice che porta il ricordo di qualcosa di vissuto. È il modo in cui camminiamo, gesticoliamo, ci muoviamo nello spazio.

La bellezza è nel carattere, nel movimento, nella verità di ciò che siamo.

Picasso non dipingeva volti perfetti, eppure ogni suo quadro è intriso di una bellezza che tocca. Perché? Perché la bellezza non è perfezione, è emozione. È qualcosa che ci colpisce, che ci parla, che ci fa sentire vivi.

Pensa alle persone che ami. Pensa a chi ti ha fatto innamorare, a chi ti ha fatto ridere fino alle lacrime, a chi ti ha fatto sentire visto. Era perfetto secondo gli standard estetici dominanti? Probabilmente no. Ma aveva qualcosa che ti ha raggiunto in un modo che la perfezione levigata dei filtri non potrà mai fare.

Disimparare lo sguardo tossico

Liberarci da questa gabbia significa disimparare il modo in cui ci hanno insegnato a guardarci.

Significa smantellare gli standard, uno per uno, e chiederci: "Perché penso questo? Da dove viene questa convinzione? È davvero mia o l'ho presa in prestito da qualcun altro?".

Significa ignorare le voci che ci dicono come dovremmo essere – quelle esterne ma anche, soprattutto, quelle interne che ormai abbiamo fatto nostre.

Significa smettere di trattarci come un prodotto da migliorare. Non siamo progetti in corso, non siamo versioni beta di noi stessi in attesa di un aggiornamento che ci renderà finalmente accettabili. Siamo completi così come siamo, proprio in questo momento.

Questo non significa non prendersi cura di sé. Non significa rinunciare al piacere di vestirsi bene, di truccarsi, di sentirsi a proprio agio nel proprio corpo. Significa distinguere tra ciò che facciamo per noi stessi – perché ci fa sentire bene, perché ci diverte, perché esprime chi siamo – e ciò che facciamo per conformarci, per essere accettati, per non essere giudicati.

La differenza è sottile ma cruciale. E solo noi possiamo riconoscerla.

La libertà di essere

La vera bellezza non è arrivare a un certo aspetto: è smettere di avere paura di quello che siamo. È imparare a stare nel nostro corpo senza la sensazione di doverci giustificare. Senza dover spiegare perché siamo fatti così, perché non ci conformiamo, perché abbiamo scelto di non inseguire standard che non ci appartengono.

È guardarsi allo specchio e vedere una persona, non un insieme di difetti da correggere.
È camminare per strada senza il peso costante del giudizio – reale o immaginato.
È esistere senza chiedere permesso.

E allora forse, invece di chiederci "Sono abbastanza bello?", dovremmo iniziare a chiederci: Mi sto permettendo di essere?

Perché quella è la vera domanda. Non se siamo abbastanza secondo parametri esterni e mutevoli, ma se ci stiamo dando il permesso di esistere pienamente, di occupare spazio, di essere visti per quello che siamo.

L'insicurezza che provi quando ti guardi allo specchio probabilmente non è tua. È stata costruita, pezzo per pezzo, da una cultura che lucra sulla tua insoddisfazione. Non devi più portare quel peso.

Puoi posarlo. Puoi scegliere di vedere diversamente. Puoi scegliere di essere libero.